lunedì 28 settembre 2020

Primi appunti per il libro

La stanzetta in cui avevano allestito l'internet point sapeva di muffa e oscurità. Ognuno era complice della privacy altrui, era un luogo di azzardo, porno e comunicazione. Aspettavo qualche istante nel corridoio che dava verso l'uscita, poi una ragazzina svogliata sui diciassette anni mi faceva cenno di accomodarmi. Quanti minuti? Postazione sette.

Andavo a sedermi, cercando di toccare meno cose possibile. Le cuffie erano quelle più luride, appiccicose e maleodoranti. Aprivo veloce la navigazione in incognito e scrivevo al fidanzato di allora. Lunghe email intrise di amore a distanza, racconti, sogni, lamentele, vita. Soddisfatta mi alzavo, dopo aver chiuso la finestra sullo schermo e controllato i minuti. Pagavo i pochi Soles dovuti e tornavo all'aria aperta.

Era quella stessa via, Jiron Eten, in cui abitavamo. Ogni tanto avevo bisogno di rifugiarmi nella grotta dell'internet point perchè a volte la connessione a casa dava problemi. Mi sentivo sporca, misteriosa e sbrigativa a frequentare quel posto di Cajamarca. Eppure anche quel luogo sudicio mi è rimasto nel cuore, come ogni dettaglio di quell'anno in Perù.

Scrivo sul pc non mio, otto anni dopo. Giusto oggi, sentendo la mia amica Anny ho ripensato a quei momenti sudamericani. Oggi ho avuto mal di testa per tutto il giorno. L'altro ieri c'è stato il vento, mi racconto. So che c'é dell'altro. C'è che quell'anno 2012 è rimasto vivido più di ogni altro e i colori qui in Italia sembrano più pallidi, le emozioni meno strabiglianti e io meno entusiasta. Il servizio civile volontario mi metteva in una posizione sublime: offrire dei servizi gratuitamente. Saltare senza ripensamenti tutti gli aspetti che mi danno gran filo da torcere nella vita quotidiana: stabilire prezzi, contrattare retribuzioni, trovare giusti compromessi.

Essere la gringa volontaria, una manna dal cielo che se va bene non fa danno e se va male non fa nulla. Nel mio caso avevo messo l'intero cuore nell'impresa e al ritorno me ne sono ritrovato un pezzo in meno. E adesso, otto anni dopo, cerco di rimettermi sulle tracce di quella parte di me, che ha continuato ad aspettarmi laggiù.

Avevo ventidue anni e un sacco di inesperienza, pregiudizi e paranoie. Adesso ne ho trenta e mi sento più consapevole, equilibrata. Eppure... Eppure. Manca qualcosa. Spezie? Imprevedibilità? Sogni? Manca qualcosa che ha a che fare con il senso della vita, con essere immersi nel fiume dell'esistenza così irrimediabilmente da non riuscire a soffermarsi a pensare. Vivere, vivere, vivere e basta. Ora ho molto più spazio per la riflessione, il ricordo, le paranoie a volte.

Ho trent'anni e zero figli, zero cani, zero case, zero stipendio. Una sfigata sociale. Un'artista. Sono un'artista. E voglio raccontarti perché credo che possa esserlo anche tu, se mi stai leggendo ora non è un caso.

Il messaggio che voglio ti arrivi ben chiaro è: sei un'artista, agisci di conseguenza.

Mariska era entrata nella classe di adobe di Chamis con il suo vestito lungo bianco e svolazzante, le piume della selva appese alle orecchie, il sorriso da delfino di fiume e gli occhi azzurri come il cielo delle Ande. Portava con sé una bracciata di tessuti: le nuove tende per la classe quinta. Come insegnante di arte mi feci avanti per comprendere se potessi essere di aiuto. No. Se mai, ero di intralcio. Mariska e quei ragazzi scuri di sole, guizzanti di vita e calmi di natura si conoscevano da molto tempo. Iniziarono subito una danza muta, fatta di sorrisi e di sguardi complici. La donna estrasse degli stencil e dei cartoncini per crearne di nuovi. Mostrò con l'esempio il procedimento: figure, colori per tessuto a tempera e via, in poco tempo tutti erano alle prese con la decorazione delle nuove tende. Rimasi in disparte incantata per un pò, poi mi misi a ritgliare la figura di un serprente. Avrei scoperto anni dopo che la Kundalini che sale la spina dorsale è paragonata a un serpente, lì avevo già appreso che la Serpiente è un animale sacro e onorato. Avrei approfondito dopo le sue origini sacre anche nell'Europa antica, dove veniva nutrito con il latte per propiziare l'anno a partire dalla primavera.

Consiederare il serpente come un animale totemico anzi che demoniaco e tentatore è stato un buon cambio di prospettiva. Ecco cosa mi ha donato quell'anno in Perù: il regalo più grande, un nuovo universo di significati.

Sono un serpente, sensuale e sinuoso. Vivo al massimo e se non posso, attendo in letargo. Ho fiducia nel sole, e lo aspetto nel sangue. Quando il fuoco mi scalda, comincio la danza, tutto il mio corpo la segue, onora le onde, canta al vento e accarezza la terra.

Sono serpente e dò vita al mondo, collego il passato e il presente.

Ronin cosmica.



Ho desiderio di scrivere queste cose, per testimoniare che così è stato. E' stato possibile vivere immersa nella vita, sentire di avere senso, non chiedersi nemmeno se può aver senso. Essere senso, essere sigificato. Sentire di essere di per sé significato. E non dare peso alle domande uletriori, un gesto con la mano che scaccia una mosca e continuare con la faccenda primaria: vivere. E se questi otto anni sono stata in letargo, il mio sangue sente che il Sole ritorna e il mio corpo, pronto alla gioia, accoglie il piacere di tornare ad annunciare la Primavera.