lunedì 19 marzo 2012

provvisorie risposte, fedeli domande



Cari, 
grazie dei vostri commenti (vedi quelli relativi al post “el dia de la mujer”) che consentono a questo blog di divenire uno spazio di confronto oltre che di condivisione.
Chiedere alle donne moderne di sedersi per terra come le campesine sarebbe alquanto provocatorio e interessanti sarebbero le loro espressioni schifate e preoccupate di sciupare l’abito buono, di bucarsi le calze o mostrare, in posizioni scomode, parti vergognose del proprio corpo.
Come servizio civilista mi trovo in un programma definito, tra le altre cose, come anno di formazione. Per come lo intendo io, questa che sto vivendo è una esperienza che mi permette di crescere a livello personale, umano e lavorativo. Con una spruzzata di arte su tutto e alla base di tutto. 
Ebbene. Mi viene chiesto: Quale Cajamarca voglio aiutare a costruire? Questa domanda è fondamentale, e per rispondere bisogna risalirne le radici e giungere all’interrogativo grande grande che sta alla base del tronco: che genere umano vogliamo formare?
E qui si apre il discorso riguardo la Educazione dei bambini, genere umano in crescita.
E’ innegabile che forme di pensiero diverse, che ragionano per cicli lunari e solari anzi che per minuti, che sappiano prevedere il meteo guardando il cielo e non consultando una pagina internet o skynews, e che sappiano miti e racconti ancestrali, tramandati oralmente di generazione in generazione, siano di immenso valore e fonte di ispirazione per tutti. 
Tuttavia nel confronto con quello che è il modello dominante di adesso, rappresentato dalla società cittadina di Cajamarca, risulta indispensabile per tutti possedere alcuni strumenti, ad es. linguistici, logico-matematici. Conoscenze che possono essere viste sia come elementi di omologazione ad una  maggioranza sia come strumenti di difesa della minoranza (che consentono ad es. di argomentare articolatamente l’opposizione alla miniera e la lotta per l’acqua).
Per istruzione base e diritto all’istuzione intendo dunque: padroneggiare l’idioma, far di calcolo. Ma anche saper vivere con rispetto della natura e del prossimo, sviluppare la propria identità, la propria dignità e anche coltivare e valorizzare il senso critico e la creatività.
I ragazzini campesini a Chamis (una delle zone rurali di Cajamarca, che raccoglie 8 comunità andine e dove lavora Warmayllu) possono accedere a un asilo, una primaria e una secondaria (inziale=asilo, primaria=elementari e secondaria=medie+primo biennio supeirori). L’offerta pedagogica di Warmayllu (clic qui: sito) è innovativa e a mio avviso ammirevole.
L’innovatività dell’offerta della scuola, incentrata sulla conservazione delle tradizioni locali e un approccio che vede nell’arte e nell’interculturalità la via maestra, è forse stato reso possibile “grazie” alla assenza statale. Queste zone rurali sembrano una sorta di laboratorio sperimentale di diversi approcci pedagogici, di alternative modalità di intervento a livello metodologico e contenutistico.
Il DCN - Diseño Curricular Nacional - peruviano è caratterizzato dall’essere “diversificabile, aperto e flessibile”. Preso atto che il Perù raccoglie al suo interno realtà molto diverse fra loro (basti pensare che ci sono 24 climi differenti contemporaneamente!), il ministero dell’educazione (MED) ha realizzato un programma educativo di base per i vari gradi di istruzione , che però può essere adattato a seconda del contesto di applicazione. Warmayllu e la comunità di Chamis si stanno cimentando in questo esperimento di “diversificazione” del DCN. Proprio in questi giorni si sta mettendo a punto la proposta pedagogica del 2012. L’insegnamento delle varie materie scolastiche a Chamis viene accompagnato ad un ricco programma di laboratori (sull’ecoturismo, sulla coltivazione e la crescita di piccoli animali, di panetteria e di carpenteria, di quechua e erbe medicinali)  che consentono di coinvolgere anche i genitori (che diventano coprotagonisti dell’educazione dei figli anche a scuola, oltre che essere tutt’ora coinvolti nella costruzione della scuola stessa) e al contempo  consententono di programmare l’anno scolastico seguendo il calendario agricolo della comunità. Il progetto pedagogico è nato da una richiesta della comunità e dal lavoro collettivo assieme all’equipo di Warmayllu, in un processo partecipativo di costruzione “dal basso”. Come sostiene Alfredo Mirz Ortiz, antropologo che collabora alla stesura del progetto pedagogico della secondaria di Chamis, l’educazione rurale non puo’ essere insegnata con gli stessi meccanismi usati per insegnare la cultura “occidentale”. Si devono modificare i meccanismi e crearne alternativi; ad es. dato che il sapere rurale andino è più olistico rispetto a quello occidentale europeo,  nella scuola di Chamis vengono sollecitate le compresenze tra vari insegnamenti per consentire un quadro di insieme meno parcellizzato di quello proposto dal susseguirsi di materie diverse in ore diverse. O ancora, come nella comunità andine esiste la Minga (quando tutti i vicini vengono ad aiutare ad eseguire un lavoro), così Chamis è in rete con altre scuole peruviane presso le quali si compiono sorte di gite-scambio per imparare dalla condivisione delle rispettive esperienze e attività.
Questa proposta pedagogica costituisce un tentativo di dialogo tra l’esigenza del passaggio di conoscimenti basici e essenziali per consegnare ai ragazzi gli strumenti per confrontarsi con la società cittadina e l’identità rurale dalla quale provengono e nella quale vivono. 
Morale. 
Nel luogo del potere (la municipalità, luogo fortemente cittadino) le donne avrebbero potuto avere un grande spazio comune per sedersi. Ci sarebbero dovute essere sedie per tutti nel caso qualche campesina avesse voluto sedersi e viceversa per lo spazio per terra. La cosa importante sarebbe stata quella di avere un cerchio, anche se variamente “seduto”, per potere consentire a tutte e tutti di potersi confrontare alla pari (almeno per quanto concerne la modalità di riunione). Oppure la riunione sarebbe potuta tenersi in un bel prato di una comunità rurale.
Alla domanda “cosa vedi?”, rispondo così:
in una situazione di razzismo interno non ancora superato, con un forte abbandono da parte dello stato delle zone rurali, ricordate solo quando urge sviscerare le loro terre in cerca di oro, dove la denutrizione infantile, il machismo e l’analfabetismo continuano a perpetuarsi, considero positiva l’esistenza di scuole rurali con programmi pedagogici come quello di Warmayllu. (vi scriverò più dettagliatamente al riguardo).
Vedo le donne della ronda campesina, (clic qui: wiky; clic qui: sito ronda campesina) forti e attive, che potrebbero essere, e già rappresentano, un buon motore di miglioramento sociale e politico. 
Vedo la possibilità, se con metodo e partecipazione, di trovare delle strade, o meglio dei senderi, per essere presenti, senza invadenza, nelle comunità rurali.
p.s.: Tutte queste riflessioni e provvisorie risposte a sempre-presenti domande sono in continua ebollizione, in divenire, mutamento, aggiustamento. In realtà spero che non si cristallizzino mai in un solido punto di vista unico e stabile, ma che  mantengano sempre un margine di modellabilità.
Per chi ha voglia, metta il suo contributo nel calderone. Ho fame!

lunedì 12 marzo 2012

El Dia de la Mujer


L’otto marzo, la festa delle donne. Mi è parso strano festeggiarlo anche dall’altra parte del mondo, forse non avevo compreso bene l’aggettivo “internazionale” che questa festa possiede. 


Grazie a Marina (compagna di SCV) siamo venute a conoscenza di una marcia e la mattina abbiamo realizzato qualche cartellone nel suo ufficio. Dopo la messa (che sembra essere stata animata da una frizzante omelia No Conga), fuori dalla chiesa principale che si trova in Plaza des Armas, si sono radunate donne con diversi striscioni, alcuni cartelli e palloncini. 


Abbiamo potuto vedere donne e uomini di diverse associazioni, tra le quali le organizzatrici: la Mesa de la Mujer (che riunisce diverse organizzazioni) e il governo regionale di Cajamarca.


Era presente anche la banda musicale di un collegio femminile. Nel corteo stavamo proprio dietro le trombettiste, gli spartiti sulla schiena delle compagne davanti, che suonavano insieme e si sgomitavano quando dovevano iniziare, sghignazzavano quando se ne dimenticavano e si davano il cinque quando terminavano il pezzo.


Con Jennifer portavamo lo striscione di Warmayllu, che rappresentavamo in qualità di uniche presenti. Lo tenevamo con una mano e con l’altra scattavamo tantissime foto, soprattutto alle persone che uscivano dalle tiendite o si affacciavano ai balconi per vederci passare.


Ricordo una donna che sorridendo ha incrociato le braccia davanti al petto, toccandosi con le mani le spalle e dondolandosi un po’. Era come se ci dicesse:  “grazie per quello che state facendo”, “vi abbraccio tutte teneramente”.

Il corteo è terminato all’interno della municipalità, dove, dopo il discorso del sindaco, del presidente regionale e di una poetessa, è avvenuta la premiazione di donne cajamarquine, tra le quali un’anzianissima ostetrica campesina...chissà quante centinaia di bimbetti andini sono nati tra le sue mani, che hanno viaggiato per tanti anni di villaggio in villaggio.


Una delle problematiche più scottanti del territorio Cajamarquino riguarda la salute materna. Nella regione di Cajamarca (che conta circa 1 milione e 300mila abitanti), le morti per parto sono state 9 dall’inizio dell’anno (siamo solo a metà marzo!). Pensiamo che nel 2008 in tutta Itlaia (61 milioni di abitanti) i decessi per parto sono stati 8 (fonte: vita che nasce). La maggior parte di queste donne peruviane sono analfabete o con un basso livello di istruzione, provenienti dalle zone rurali, che spesso partoriscono da sole. 



Questo numero di decessi però è sottostimato perché alcune donne delle campagne non possiedono documenti di identità e le loro esistenze possono tanto iniziare quanto finire, ignorate dagli occhi dello Stato. Spesso le donne campesine non accedono ai servizi sanitari per varie ragioni, anche culturali. E qui si introduce l’altro problema scottante, quello della scolarizzazione femminile nelle comunità rurali.
Nel centro abitato di Chamis, ad esempio, che si trova a poco più di un’ora a piedi da Cajamarca e dove ci sono le lagune minacciate dalla miniera CONGA, un proyecto ciudadano (vedi qui  video del proyecto ciudadano) portato avanti dai ragazzini della scuola secondaria ha evidenziato che su 155 donne tra i 12 e i 21 anni, 60 non vanno a scuola. Il progetto ciudadano ha mirato a sensibilizzare la società su questo tema, analizzando le norme relative a tale problematica e andando a parlare con le istituzioni competenti. 
Che dire di Cajamarca? L’idea che mi sono potuta fare è ancora molto superficiale. Fino ad adesso ho avuto modo di conoscere personalmente uomini molto gentili e rispettosi. Per strada però spesso dalle macchine suonano o “fissano” le donne, specialmente le gringhe, e i più sfacciati schiamazzano qualcosa che spesso non capisco. Se all’inizio rimanevo indifferente, ora mi viene sempre più spontaneo rispondere per le rime, e a volte ringrazio di avere le mani occupate in modo da non esibirmi in vari gesti “eloquenti”. Per strada si possono incontrare donne vestite “all’occidentale” (jeans, tacchi, maglietta, trucco, occhiali da sole) e sullo stesso marciapiede o nello stesso  ufficio (ad esempio al Banco Nacional) campesine con grandi sombreros di foglie di palma strette fini fini, con gonne fino al ginocchio, camicette colorate e maglioncini di lana.



Attaccate alle loro schiene, le manteles, stoffe variopinte spesso realizzate a mano che fungono da zaino o porte-enfant a seconda delle circostanze, in un’arte di equilibrio tra corpo di bimbi, lembo di tessuto e zona lombare della madre. 


Portano i capelli lunghissimi, neri, lucidi, legati in una treccia che percorre dritta e decisa tutta la schiena e che si muove seguendo i sobbalzi del corpo. Le scarpe sono sorta di mocassini scuri. Durante le nostre escursioni in montagna, abbiamo potuto notare che il loro abbigliamento non cambia: non è un vestito da festa, ma è l’abito da tutti i giorni, nonostante sia così variopinto e potrebbe sembrare troppo bello per il lavoro nei campi. Le vedo così belle, così donne. Così meravigliosamente colorate, con quelle gambe forti, tornite dai tanti passi. Non riesco a pensare forme migliori su quei bei cerros verdi, spuntare da quelle case di adobe.


Eppure qui in città sono come “di serie b”. Per la strada alcuni uomini si arrogano il diritto di trattarle poco cortesemente. Le campesine svolgono i lavori più umili: donne delle pulizie, cuoche, venditrici al mercato, spesso agli angoli delle strade. In Perù esiste un forte razzismo interno. Gli abitanti della città discriminano coloro che vengono dalla selva o dalla sierra. Ciò potrebbe ricordare un po’ il fenomeno dell’integrazione degli italiani meridionali nel nord Italia.
Nel palazzo della regione, Marina mi ha fatto notare che le campesine erano sedute per terra e le altre donne, invece, avevano un posto sulla sedia di velluto rosso.


Tra le giornaliste ce n’era una che pare si vesta sempre con abiti tradizionali, ovunque vada, nonostante faccia un lavoro molto diverso dai mestieri campesini, non ha voluto rinnegare le sue tradizioni.

Ieri con Jennifer abbiamo comprato il cappello tradizionale. Ce ne sono vari tipi, di diversi diametri e che richiedono lavorazioni diverse. I nostri sono di palme intrecciate finissime e ciascuno ha richiede 2 mesi di lavoro. Qui il sole è molto forte e in più c’è chi dice che il buco dell’ozono sia proprio sopra il Perù e quindi le radiazioni solari sono pericolosette. Necessitiamo di un copricapo per quando ci rechiamo nelle scuole rurali, ma abbiamo riflettuto a lungo se fosse il caso o meno di prendere proprio quel cappello. Che possa sembrare improprio che esso sia indossato da due gringhe? Costa molto, dai 250 soles in su (il nostro 400 soles), che qui è una fortuna. Ma dicono che duri tutta una vita. Per tentare di risolvere i nostri dubbi abbiamo chiesto a delle professoresse peruviane che ci hanno detto che fa piacere ai campesini che qualcuno della città si metta il loro cappello tipico, solitamente snobbato. Noi siamo gringhe, ma siamo anche Donne, che ci stanno provando a entrare in queste terre cercando di sollevare meno ondine possibile. Sappiamo di essere diverse, ce l’abbiamo scritto su ogni vestito, oggetto, accento, pelle e gesto. Però vogliamo essere qui, insieme. Testimoniare che si può’ essere Donne anche così, con un cappello che vuole essere un modo per dire: Ode alla vostra tecnica e alle vostre mani esperte: Dove il Quechua Decathlon non può arrivare, arriva il Quechua Andino! 

lunedì 5 marzo 2012

Shicuana, dove le strade si dividono

Giovedì' primo marzo era il primo giorno di scuola dopo le vacanze di carnevale in Perù (simili come durata alle nostre vacanze estive). Io e Jennifer ci rechiamo entusiaste  (è il nostro primo giorno nel campo!) nella scuola di Shicuana, prendendo un combi (piccolo pulmino) per mezz’ora e facendo un’altra mezz’ora a piedi, lungo un sentiero in piano costeggiato dai soliti eucalipti, in una natura bellissima aperta su un ampio panorama di cerros (montagne).

Nella piccola scuola in mezzo al verde, raggiunta grazie alle indicazioni di gentili locali, ci aspettava il professore William, direttore della Primaria e del jardin (asilo). Il motivo della nostra visita era accertarsi che la scuola fosse effettivamente iniziata, controllare la presenza degli insegnanti, chiedere se la scuola avesse ricevuto il materiale del ministero e valutare se i locali erano adeguati allo svolgimento delle lezioni. 
La scuola era deserta. Tutti e sei i professori (ogni professore insegna in un anno delle elementari, che  seguirà per tutti i cinque anni, mentre un’altra docente insegna all’asilo) erano presenti, tuttavia nessun bambino gridava nel cortile né nessuno fissava con occhi grandi la lavagna: non c’erano alunni! C’era una madre che stava iscrivendo sua figlia, nada mas. William ci ha detto che dato che i campesini solitamente conducono lavori per i quali vengono pagati il sabato, avrebbero mandato i figli a scuola il lunedì successivo (il 5) quando avrebbero potuto permettersi di comprare loro il materiale scolastico, grazie al guadagno del fine settimana. 


Metà della scuola, quella a sinistra nella foto, è stata costruita in adobe (mattoni di terra e paglia,  tipici del luogo) da los padres (i genitori) circa 4 anni fa. L’altra parte invece, quella a destra, è in cemento ed è stata eretta 2 anni orsono con finanziamenti ministeriali. In questo luogo la scuola esiste, in antiche strutture ora sostituite dalle nuove, da una cinquantina d’anni. Shicuana raccoglie un centinaio di bambini provenienti da 4 comunità rurali, alcune delle quali lontane più di un’ora a piedi, che i bambini devono effettuare svegliandosi en la madrugata (la mattina presto) per recarsi in aula in tempo. 
I locali non erano adatti ad accogliere gli studenti. Un bagno era rotto, le classi, seppur ridipinte e ampie, erano sporche e contenevano materiale da costruzione lasciato lì in seguito ai lavori di manutenzione e in un’aula scorazzava un topino. 

L’idea degli insegnanti era quella di pulire i locali con i bambini i primi giorni di scuola. Questa attività sembra essere un’abitudine nelle scuole rurali e pare essere parte del progetto educativo:  pulire e organizzare l’ambientazione dell’aula tutti insieme per l’anno nuovo significa responsabilizzarsi e sentirsi protagonisti di quel luogo comune chiamato classe. La scuola è dotata di un grande salone dove fare talleres (laboratori), un forno per cuocere le creazioni in creta, una sala computer con postazioni fisse e persino laptop che possono eventualmente, in caso di mancanza di elettricità, funzionare collegandosi a pannelli fotovoltaici.

Riguardo la pulizia più profonda e il servizio mensa, c’è una lista attaccata al muro con i nomi dei genitori che si improvvisano bidelli o cuochi, per supplire a turno alla mancanza di queste figure (ci sono i fondi a malapena per pagare i docenti).
La prossima settimana dunque, se tutto va bene, si inizierà per davvero. La volontà dei professori c’è tutta. Ogni pomeriggio si riuniscono, assieme ai docenti di altre escuelas rurales, nell’ufficio di Warmayllu a Cajamarca per concertare il progetto pedagogico in conformità al piano curriculare nazionale e formulare strategie di azione. Quando anche i genitori più ritardatari avranno immatricolato i loro piccoli, una anno nuovo inizierà anche in questo piccolo pezzo verde di cerros.


Poco distante (una manciata di minuti a piedi) dalla scuola Primaria, si sta costruendo il nuovo jardin (asilo). Con William ci rechiamo nel cantiere, senza casco, entriamo a parlare con gli operai, la maggior parte padres de familia. Tra la costruzione si aggirano bambini che giocano tra le macerie e le cariole. 

I papà sono fierissimi del loro lavoro, l’asilo è stato un’idea della comunità. Con l’aiuto di tecnici si è steso il progetto (a spese dei volenterosi locali. Costo circa 14.000 soles; ricodiamo che un euro equivale a circa 3,3 soles) col quale si è vinto il bando ministeriale. Tutto bene eccetto il fatto che il MED (Ministero de EDucacion) non finanzia progetti realizzati in adobe.
L’adobe, come precedentemente accennato, è il materiale di costruzione tipico della Ande, ma non solo (anche Africa, Spagna,...ne fanno uso). Consiste in mattoni di terra e paglia che vengono lasciati asciugare al sole. L’impatto ambientale di una costruzione di adobe è minimo e anche visivamente le case dei campesinos, dello stesso colore della terra dalla quale "emergono", appaiono in armomia con la natura circostante.
Costruire l’asilo in cemento e mattoni costa 890.000 soles, lo stesso asilo ma più grande, e quindi con più aule per laboratori ecc., sarebbe costato, se realizzato in adobe, poco più di 100.000 soles, circa 1/8 . Il professor William ci ha spiegato che le case di adobe qui durano come minimo 25 anni e poi possono essere facilmente riparate. La sua idea era quella di fare le fondamenta in cemento e le pareti in adobe in quanto questo materiale trattiene di più il calore, al contrario del cemento che risulta invece più freddo e per questo nel nuovo asilo di Shicuana sarà necessario installare il riscaldamento. Il Ministero però stanzia i fondi solo per costruire col cemento che qui, propaganda delle propagande, viene chiamato “material noble”, portando avanti con questa scelta una chiara linea politica ed economica.
I genitori, nonostante ciò, erano così soddisfatti del loro lavoro iniziato già da due mesi: come se stessero costruendo non un semplice asilo ma realizzando un sogno comunitario, per il quale hanno fatto sacrifici e lavorato duro. Il capo cantiere ci spiegava che ad agosto, quando sarà ultimato, si pensava di organizzare una grande festa di inaugurazione con musica e danze tradizionali, gare di canto tra padri e figli, coinvolgimento delle autorità e della comunità rurale. Mentre ne parlava gli si illuminava il sorriso di denti dorati. Poi ha aggiunto “la prossima meta sarà la scuola secondaria di Shicuana”. Una stretta di mano e una risata con William: “porque no?!”.